Svezia, inferno e paradiso (1968)

Regista viaggiatore al pari di Lomi, ma a differenza di lui portato ad esplorare zone piu' "civili" ed "evolute" del globo, Luigi Scattini ebbe con questo SVEZIA, INFERNO E PARADISO il suo momento di maggior fama. Alla fine degli anni '60, in un'Italia bigotta e bacchettona, le voci provenienti dalla Svezia di inconcepibili liberta' e fantastici piaceri, riferite dagli amici degli amici di chi c'era stato, avevano il sapore della leggenda e un tamtam di bisbigli le travisava e ingigantiva ad ogni passaggio. Logico quindi aspettarsi la marea di spettatori che puntualmente accorse ai botteghini premiando la pellicola con un incasso per l'epoca da capogiro: oltre un miliardo (per fare un raffronto basta considerare che FELLINI SATYRICON, appena posteriore, supero' di poco il miliardo e mezzo).
Rivedere il film a trent'anni di distanza fa quasi tenerezza: gli "scandali" dell'educazione sessuale per adolescenti e dei porno shop fanno ormai parte anche della storia del nostro paese e l'inferno dei fumatori di canapa indiana ha il sapore di una tragica barzelletta di fronte a realta' sociali tanto piu' drammatiche.
Ma se il valore sensazionalistico e di denuncia di SVEZIA, INFERNO E PARADISO e' oggi ormai prossimo allo zero, altre qualita' (sicuramente allora passate in secondo piano) ne fanno un piccolo gioiello trash.
La musica ad esempio, anche in questo caso di Piero Umiliani, fracassona e bizzarra invade praticamente ogni fotogramma in una sorprendente miscela di stili, blandendo i nostalgici della psichedelia con discrete imitazioni dei primi Pink Floyd per poi colpire a tradimento con Mal e i Primitives o con una versione svedese (!!!) del "Ragazzo della Via Gluck". E poi c'e' la condanna di quel Mana' Mana' (non era per caso il motivo dello spot Ondaflex in Carosello?) che ci si ritrova a canticchiare anche dopo ore e che dalla testa proprio non se ne vuole andare...!
L'inevitabile commento fuori campo tra spiritosaggini e moralismo, affidato alla voce di Enrico Maria Salerno, non riesce a celare una vena sottile di invidia e di risentimento verso una mentalita' di fatto piu' libera e in un certo qual modo "aliena", e alcune tirate sulla solitudine e il disadattamento (assieme alle ricostruzioni fasulle di un suicidio e delle violenze di teppisti motorizzati) fanno tanto pensare alla fola della volpe e dell'uva...
E, sempre a proposito di ricostruzioni, ci sono da segnalare un paio di barboni e un gruppo di alticci avventori in un locale che, forse per l'inopportuna cordialita' e l'esagerato gesticolare (oltre che per inequivocabili caratteristiche fisiche), suscitano piu' di un sospetto d'italianita'.
Una nota di merito infine al direttore della fotografia (e in seguito pure lui regista documentaristico) Claudio Racca per essere riuscito, con accorti movimenti di macchina e passaggi "casuali" dietro ad oggetti, a mantenere le frequenti scene di nudo entro gli angusti limiti di censura allora vigenti. Sembra impossibile ma e' cosi': nella sequenza dei nudisti sulla scogliera non si riesce a scorgere un pelo pubico che sia uno!

Il film usci' in videocassetta per la P.A.C. ma da ormai dieci anni e' fuori catalogo.



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